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LO YOGA
1. La popolazione indoariana e le origine dello Yoga
Lo yoga trae le sue origini nel 6000/6500 a.c., anche se altri studi attestano le sue origini addirittura 10000 anni a.c., da un’area del Mar Caspio, nella valle del fiume Hari, dove vi era un’antichissima popolazione Indo-Ario, che era caratterizzata non come gruppo etnico, ma a livello linguistico. La loro lingua era il “devangari”, chiamata la lingua degli Dei, poiché era composta da un alfabeto prezioso ed avanzato. Tale lingua sacra non si trascriveva ma si tramandava. Il termine “devangari” è composto da “deva che significa Dio e “nàgari” che significa città, da qui il significato di “città degli dei”. L’alfabeto era catalogato secondo fonemi, che esprimono il potere reificante della parola, ossia la frequenza. Il ceppo linguistico indo-ario è stato importante per capire il modo di pensare di quell’antico popolo. Tale popolazione dopo aver vissuto un lungo periodo florido nella valle del fiume Hari, ad un certo punto di una determinata fase geologica, per sfuggire ad un’inondazione, si dovette spostare dalla propria terra verso nuove aree geografiche. I tratti culturali, che hanno caratterizzato il ceppo linguistico Indo-Ario, si sono diramati dall’estremo nord della Russia, verso il Mar Caspio/Turkmenistan, verso la Grecia, l’Italia e la Gran Bretagna. Anche in Cina si è ritrovata una piccola parte di questo ceppo linguistico/culturale. In tutte queste aree geografiche non si è ritrovata una lingua comune, ma gruppi fonetici comuni. La popolazione indo-ario a ceppo linguistico era prevalentemente nomade fino a che arrivata alle pendici dell’Himalaya, si stabilizzò e si strutturò in società più definite fino a suddividersi in caste da un punto di vista economico e sociale. Le caste erano formate da Brahmini ( i sacerdoti e studiosi dei testi sacri), i kshatria ( i guerrieri del ceto politico-amministrativo), i Vaishya (i mercanti, i contadini, gli artigiani), i Sudra ( i servitori) e i Paria (gli intoccabili, i fuori casta, addetti ai lavori più umili). La popolazione per procedere nei propri spostamenti e per prendere decisioni e avere risposte, tra cui il ritorno a casa o come fosse nato il mondo, faceva sempre domande ai veggenti dell’epoca chiamati “Rishi”, che in trans meditazione offrivano sempre dall’invisibile indicazioni e risposte. I Bramini avevano il compito invece di memorizzare tutte le domande e le risposte, che vennero riordinate e catalogate nei Veda. I veda sono testi canonici della filosofia indiana, ciò che viene detto in questi testi è di difficile comprensione, che è anche accresciuta dal fatto che il sapere yogico, per tradizione antichissima veniva tenuto segreto e comunicato da Maestro ad allievo, in base all’evoluzione di quest’ultimo. I motivi principali alla base di questo atteggiamento, consistevano nella convinzione che alcune pratiche yoga se comunicate o apprese precocemente rispetto al potenziale dell’allievo, potevano recargli un danno anziché un beneficio. Vi era anche un motivo di tipo esoterico, essendo lo Yoga nei suoi livelli più elevati legato all’acquisizione di potenti poteri (siddhi), l’allievo non ancora formato spiritualmente, avrebbe rischiato di usare in modo egoistico ed indiscriminato queste facoltà.
I Veda sono divisi in quattro parti: Rig Veda, Yajur Veda, Sam Veda e Athar Veda. I discepoli che raccolsero le varie testimonianze orali dei sacerdoti in epoche diverse, fecero un’ulteriore suddivisione in: Mantra, Brahmana, Vedanga e Upanishad. Le Upanishad in particolare costituiscono la parte conclusiva dei Veda e sono un insieme di testi religiosi e filosofici indiani in lingua sanscrita appartenenti ad epoche diverse. Le Upanishad sono scritte sotto forma di dialogo tra discepolo e Maestro e sono dedicate a indirizzare l’aspirante a interrogarsi circa quesiti esistenziali quali la concezione del Brahman, l’Assoluto, l’Atman, il Sé, il Karma, quale sia il fondamento ultimo dell’universo e della vita ed altre verità supreme.
2. I vari tipi di Yoga
Nello Yoga esistono diversi stili e la pratica cambia dall’uno all’altro focalizzandosi su un aspetto piuttosto che su un altro, anche se ogni stile è completo ed efficace, il rischio a volte è quello di andare verso un eccesso di specializzazione perdendo di vista il panorama più ampio che l’antico yoga promulgava in funzione di una profonda armonia tra corpo mente e spirito. E’ importante sottolineare che ogni tipo di yoga migliora la resistenza, la flessibilità e l’equilibrio.
-L’Hatha Yoga è un tipo di yoga che si focalizza sul corpo per accedere poi alla via spirituale. L’allenamento prevede una costante educazione del corpo in posizioni semplici, eseguite con calma senza fretta, a cui si uniscono nozioni di respirazione, rilassamento e meditazione. La mobilitazione del corpo facilita il fluire dell’energia. Nell’Hatha Yoga il rischio è che il praticante si concentri eccessivamente sulla pratica corporea trascurando gli altri aspetti filosofici e sociali. Questo rischio è soprattutto attivo in occidente in una cultura come la nostra dove si dà eccessiva attenzione al corpo ed all’autocompiacimento, oltre che ad un bisogno esibizionistico tipico di personalità narcisistiche ed egocentriche.
-Raja Yoga o yoga reale, Raja significa “Re”, unisce la meditazione e lo studio della posizione alla filosofia inserita nella vita. E’ lo yoga dell’unione che passa per la contemplazione e concentrazione, è un tipo di yoga molto elevato perché include in sé anche gli effetti di tutte le altre possibili pratiche. Riguarda l’Essere e la Coscienza, i passaggi e i riconoscimenti necessari all’incontro con la natura più profonda dell’essere umano. Il suo obiettivo principale è quello di calmare le onde pensiero della mente per il raggiungimento del samadhi. Il rischio è che in questo tipo di forma manchi l’aspetto più dinamico legato all’azione che permette di rientrare nel mondo per contribuire all’evoluzione non solo di sé ma dell’umanità intera.
-Bhakti Yoga è la via della devozione verso la liberazione dal ciclo delle rinascite, è la relazione con Dio, che porta all’unione attraverso un intenso amore e devozione. E’ la via del cuore non mediata dal mentale, evitando le difficoltà intellettuali di uno “Yoga della Conoscenza”. Nel dodicesimo capitolo della Bhagavad Gita si legge “coloro che fissando le loro menti su di Me, Mi adorano stando sempre uniti a Me con intensa fede e devozione suprema, io li considero i perfetti conoscitori dello Yoga” ( Bhagavad Gita, XII, 26). Il rischio di questa via è che il praticante possa portare avanti una pratica spirituale enfatizzata scivolando in raptus sacri o caratterizzando eccessivamente il divino, producendo attaccamento affettivo e orgoglio nazionalistico, perdendo di vita una visione cosmica della Verità.
-Karma Yoga basato sul dominio dell’attività quotidiana disgiunta da ogni fine personale, porta al controllo delle azioni senza l’aspettativa dei risultati immediati o futuri. In questo tipo di Yoga si concentra il potere essenziale della vita ossia l’azione spiritualizzata che si può manifestare in più di un grado. Azione come rituale sacro, azione come carità verso il prossimo, azione come libertà spirituale. Nel terzo grado non vi è un personale vantaggio e si è in uno stato di unione (Yukta), l’azione è compiuta per giustizia e per l’evoluzione della coscienza umana.
-Jnana Yoga o Yoga della conoscenza, poiché dona chiarezza e ordine mentale assoluto, nonché la padronanza verbale. E’ la via dell’asceta che rinuncia a qualunque attaccamento al mondo terreno.
-Yoga Tantrico è uno strumento per estendere la coscienza umana, è l’unione della coscienza individuale con quella universale e del maschile con il femminile. In questo tipo di yoga non vi è antagonismo tra natura e spirito, gli istinti umani vengono organizzati in modo intelligente affinchè si possa andare attraverso la natura verso la trascendenza.
-Il Kundalini Yoga si basa sul risveglio della forza psico-fisica localizzata alla base della colonna vertebrale, incorpora movimento, tecniche di respirazione dinamica e meditazione in una pratica strutturata in una serie di azioni fisiche e mentali che stimolano il sistema nervoso, quello ghiandolare e i chakra. Conduce al dominio sui centri di forze misteriose e cioè sulle zone da cui questa energia scaturisce.
-Kria Yoga è una forma di Raja Yoga, lultimo dei percorsi yoga descritto da Patanjali, definito la via Regale di unione con Dio attraverso una serie di tecniche di meditazione avanzate. Può portare alla liberazione dell’anima dalle sue catene , elevandola ad un livello divino. Resa famosa in Occidente dal maestro Paramahansa Yogananda.
-Purna Yoga è lo yoga integrale la cui meta finale è l’integrazione completa dell’Essere in cui pace, amore, saggezza e azione si integrano in una profonda unione. L’esponente del Purna Yoga è stato Sri Aurobindo che nel suo metodo riprende l’essenza e molti procedimenti dei vecchi yoga. L’innovazione sta nel suo scopo, poiché non mira all’uscita dal mondo o al raggiungimento di una meta lontana, bensì ad un cambiamento consapevole realizzando la luce divina presente nella vita quotidiana, permeando e trasfigurando la materia a propria immagine e somiglianza nel superamento del dualismo tra trascendente e immanente.
3. I sei modelli posturali
Gore classifica gli asana, ossia le posizioni yoga, in riferimento ai meccanismi anatomo-fisiologici ed ai loro effetti, in:
- asana educativi o correttivi, il cui scopo è quello allenare e condizionare il corpo e la mente in modo tale da portare stabilità, equilibrio, pace e benessere a livello psicofisico, requisiti necessari per facilitare lo scorrimento pranico.
-asana rilassanti, per rilassare corpo e mente, in aiuto alla postura correttiva
-asana meditativi, che attraverso una postura stabile e comoda del corpo, facilitano la meditazione (dhyana).
Questi asana sono rappresentati da sei diversi modelli posturali:
1) Flessione
2) Flessione laterale
3) Inversione
4) Torsione
5) Equilibrio
6) Estensione
La postura richiesta da un dato asana deve essere compiuta lentamente, deve essere poi mantenuta restando immobili e poi abbandonata adagio e con dolcezza di movimenti. Nei diversi asana tutto il corpo e la mente vengono sottoposti ad un allenamento graduale, attraverso particolari meccanismi neuromuscolari coinvolti nell’esecuzione fino ad apportare gradualmente specifici cambiamenti nell’intera personalità dell’individuo. Ad ogni modello posturale che lo specifico asana implica, compete la funzione di educare corpo e mente preparandoli alle pratiche yogiche più avanzate come il pranayama, il dharana e il dhyana.
4. I Grandi Maestri:
Swami Shivananda
Swami Sivananda (1887–1963) fu un uomo di grande cuore e saggezza, uno dei grandi maestri yoga dell’India, che riuscì con grande umiltà a portare avanti sia la sua carriera di medico che di yogi e saggio. Fu un uomo sempre al servizio del prossimo, la sua attenzione agli altri era espressione del suo grande amore e cura verso i più deboli. Iniziò la sua carriera di medico in India, per poi trasferirsi in Malesia dove aiutò a guarire migliaia di lavoratori indiani che vivevano in povertà e in condizioni precarie. Diresse un ospedale e curò gratuitamente tantissime persone povere. In lui si generava una profonda tristezza nel vedere star male gli altri e ciò lo motivò tutta la vita a prendersi cura fisicamente e mentalmente delle persone sofferenti e comprese che per curare i suoi pazienti poteva integrare la medicina con lo yoga e la meditazione. Pubblicò circa 200 libri per divulgare il più possibile tutte le conoscenze sullo yoga, trasmettere pace e luce di conoscenza divina. A Rishikesh fondò un ashram il Divine Life Society, dove ideò ed insegnò un suo metodo specifico di yoga integrale chiamato lo Yoga della sintesi, in cui sono comprese tutte le componenti tipiche dell’Atha Yoga: l’aspetto della prostrazione, il rilassamento, l’aspetto devozionale con i saluti al sole (da 8 a 10), la parte propedeutica per lo scioglimento muscolare e le asana. La sua sequenza chiamata RishiKesh prevede da 10 a 12 posizioni in sequenza fissa a seconda del livello dei praticanti e va a lavorare con tutti i modelli posturali. Tra un asana ed un altro è sempre previsto un breve rilassamento, così come nella parte iniziale e finale di ogni lezione.
Il suo metodo si rifaceva a 5 punti basilari:
1. Esercizio fisico appropriato (asana)
2. Respirazione appropriata (pranayama)
3. Rilassamento appropriato (savasana)
4. Dieta appropriata (vegetariana)
5. Pensiero positivo e meditazione (vedanta e dhyana)
Sivananda consigliò sempre a chiunque di praticare yoga, sosteneva che ogni essere umano possiede intelletto, corpo, cuore e spirito ed a seconda delle caratteristiche individuali (intellettuale, attivo, emozionale, contemplativo), ciascun individuo può scegliere su quali aspetti dello yoga focalizzare la propria attenzione:
1) Jnana yoga: il cammino della saggezza e del discernimento
2) Karma yoga: il cammino dell’azione
3) Bhakti yoga: il cammino della devozione e dell’amore
4) Raja yoga: il cammino della contemplazione
Arrivò ad un certo punto della sua vita a dedicarsi completamente allo yoga rinunciando ad ogni agio ritirandosi in solitudine ed in meditazione itinerante nelle zone dell’Himalaya fino a giungere all’autorealizzazione.
Il suo motto era “servi, ama, dona, purifica, medita, realizza”.
Krishnamacharya (allineamenti e quello che comporta),
Maestro di casta bramina (1888-1989), di elevato spessore spirituale morì centenario. Con lui nacque il termine di Vinyasa, che significa consapevolezza nel movimento. Nel suo libro “Il nettare della conoscenza”, riportò tutta la serie dei vinyasa, che sono delle forme molto brevi e ripetitive con saluti al sole con in mezzo una posizione. Fu considerato padre fondatore dell’insegnamento dello Yoga agli Europei, dato che molte persone dall’Europa venivano a studiare sotto la sua guida. Divenne insegnante di yoga del Re e filosofo di Corte, rifiutando sempre le loro retribuzioni e continuando a vivere in modo modesto del proprio lavoro come capomastro in una piantagione di caffè e praticando la medicina ayurvedica. Fu sempre dedito ai suoi studi ed alla sua famiglia. Uno dei suoi più importanti allievi fu il fratello di sua moglie, Sri B.K. S. Iyengar.
Sri K. Pattabhi Jois
Allievo di Krishnamacharya, iniziò i suoi studi all’età di 12 anni (1915-2009). Ha avuto il merito di promuovere tramandare a noi il metodo dell’Ashtanga Vinyasa Yoga. Nel 1948 ha fondato l’Ashtanga Research Institute, il primo Istituto per l’insegnamento di questo metodo, con la finalità di praticare e sperimentare il valore curativo dello yoga, così com’è stato tramandato dai testi più antichi. L’Ashtanga yoga è un metodo caratterizzato dal vinyasa, che è un sistema di respiro e movimento combinati insieme. Il nome Ashtanga in sanscrito significa letteralmente “otto rami”, che sono gli otto passi fondamentali descritti da Patanjali negli Yoga Sutra e che rappresentano le linee guida da seguire per vivere una vita in armonia, in pace, in salute a livello fisico, mentale e spirituale e che possono portare all’autorealizzazione, riconoscendo in sé gli aspetti spirituali della propria natura. Nell’Ashtanga vi sono una sequenza di posizioni concatenate tra loro, sincronizzate con il respiro che unisce il corpo con lo spirito. Il respiro utilizzato in questo metodo si chiama ujjayi, è un respiro particolare sonoro che significa “respiro vittorioso”. Il suo suono nella parte posteriore della gola si produce chiudendo la glottide , mentre si inspira ed espira sempre attraverso il naso. Questo suono prodotto continuamente dalla respirazione funge da mantra per non perdere mai la concentrazione e per rimanere in allineamento con i movimenti del corpo. L’attenzione costante su questo tipo di respiro consente di calmare la mente e di mantenere il pensiero focalizzato.
Nell’Ashtanga ci sono 3 serie di sequenze.
1) Yoga Chikitsa elimina le tossine e allinea il corpo
2) Nadi Sodhana, la serie intermedia, purifica il sistema nervoso, attraverso l’apertura e la pulizia dei canali di energia. Lo Shastra Yoga afferma che vi sono sei veleni che coprono la luce divina che abita nel cuore umano. Il calore generato attraverso una pratica costante e diligente brucia questi sei veleni, riportando la luce della nostra natura interiore a risplendere.
3) Stira Bhagah Samapta rappresenta le serie avanzate (A-B-C-D) che intergrano la forza e la grazia della pratica e che comportano un elevato grado di umiltà e flessibilità.
E’ necessario stabilizzare ogni livello prima di passare ad un livello successivo, ogni postura è una preparazione per quella successiva e permette di incrementare forza ed equilibrio che sono necessari per procedere. Ogni insegnante ha il dovere di trasmettere la conoscenza nella sua forma più pura così come l’ha appresa dal proprio guru. L’allievo dovrà dunque sforzarsi di apprendere in modo diligente ed attento ogni singolo insegnamento e di praticare diligentemente
Sri B.K. S. Iyengar.
Iyengar (1918-2014) fin da piccolo ebbe una vita costellata da tante malattie e problemi. Suo cognato il maestro Krishnamacharya, tentò attraverso l’insegnamento dello yoga di aiutarlo a fortificarsi ed a migliorare il suo livello di salute sempre così cagionevole. Iyengar iniziò a praticare yoga all’età di 15 anni facendo fatiche immani, ma con grande sforzo, sacrificio e perseveranza giunse addirittura a praticare yoga dalle 8 alle 12 ore al giorno divenendo molto abile ed agile nella pratica delle asana. Guarì definitivamente da tutti i suoi problemi di salute e divenne talmente bravo nella pratica delle asana che fu chiamato varie volte ad esibirsi in pubblico. Il suo metodo fu caratterizzato dalla precisione e dall’allineamento durante l’esecuzione delle posture, dalla sequenza delle sanas e dal tempo di mantenimento delle posizioni , per ottenere il massimo beneficio. Nel suo metodo non si tratta solo di allineare corpo e respiro, ma anche il respiro si allinea con la precisione sul corpo. Più il corpo è allineato e controllato, più si sviluppa una mente incline alla concentrazione e alla meditazione. Prevede un metodo di insegnamento rigido. L’insegnante fornisce istruzioni precise agli allievi, correggendoli uno ad uno in base alle esigenze di ciascuno. La vita di Iyengar un giorno fu segnata dall’incontro con un violinista svizzero che rimase talmente colpito dalla sua abilità, che invitò Iyengar in Svizzera per delle dimostrazioni. Fu così che Iyengar per la prima volta lasciò l’India per recarsi in Occidente, per poi continuare a insegnare yoga per oltre quarant’anni in ogni parte del mondo. Oltre ad essere stato un grande maestro fu anche un grande scrittore, pubblicò molti testi di yoga, in cui descrisse con semplicità e chiarezza i principi dello yoga, tutte le posizioni dello Yoga e le tecniche di respirazione.
5. Darshana Sankia e Darshana Yoga
Il Veda è la conoscenza sacra, divina, intatta in cui si ritrovano i fondamenti di cultura, spiritualità, arti e scienza. Nei Veda si legge della fondamentale unità ed interdipendenza di tutto ciò che esiste. Tutte le risposte dei Rishi su come si è creato e strutturato il mondo, ad un certo punto sono state catalogate in Darshana (visione). Darshana allude infatti alla visione della realtà fenomenica e divina, che i rishi hanno avuto come risultato della loro disciplina ascetica e contemplativa. I darshana principali sono sei e sono solitamente raggruppati a coppie, tra cui il Sankya di Kapyla e lo Yoga di Patanjali.
Il Sankya è un Darshana metafisico che risponde alla domanda “com’è fatto il mondo”, scaturito dalla sapienza vedica e lo Yoga è un Darshana pratico che risponde alla domanda “come faccio a diventare un rishi” .
Il Sankhya è ritenuta la più antica filosofia apparsa tra le tradizioni hindu e ha avuto un influsso significativo su altre scuole filosofiche e religiose dell’induismo. Costituisce dunque uno dei sistemi (darshana) ortodossi nella cultura religiosa indù. Ne esistono due versioni, una teista e l’altra non teista. Il suo nome in sanscrito ha vari significati, può indicare “enumerazione” nel senso che al suo interno vengono classificati i principi cosmici e individuali, gli elementi fondamentali cui riportare tutto ciò che è manifesto, sono 24 principi costitutivi (tattva) della manifestazione. I tattva si manifestano sia a livello cosmologico sia individuale, dal più sottile e indistinto fino alla materia più grossolana. Un altro suo significato attiene alla discriminazione tra lo Spirito, Pura Coscienza (Purusha, o Atman-Ek- Brahman) e la materia attiva ma inconscia (Prakriti). Nell’Upanishad i Tattva sono elencati come: etere, aria, fuoco, acqua, terra che sono tattva oggettivi, ossia diverse forme di aggregazione della materia. L’energia si trasforma in materia e la materia in energia che ha cinque proprietà: odore, sapore, forma, consistenza, suono. Ci sono poi i tattva soggettivi che comprendoni manas (mente), i 5 sensi, i 5 sensi di azione, buddhi (il discernimento) e ahamkara (il senso dell’io).
L’Ek è l’uno che in sé contiene il tutto, è l’aspetto permanente, trascendente, immanente che per ardente desiderio (tapas) volle conoscere qualcos’altro al di fuori di sé. L’Ek in tal modo si particellizzò e da quell’Uno nacque una moltitudine che è rappresentata dalla varietà della manifestazione dell’esistenza stessa (animali, vegetali, minerali, regno della biologia, della chimica, del visibile e dell’invisibile). Il Sankya considera infatti l’universo costituito da queste due realtà eterne auto-esistenti. Esiste una legge di impermanenza secondo cui tutto esiste da un tempo senza inizio e si trasforma, tutto è energia e coscienza. La vicinanza di Purusha e Prakriti produce uno squilibrio tra le qualità (Guna): sattva, rajas e tamas che corrispondono a purezza, attività, e inerzia, qualità di cui è costituita Prakriti. Prakriti ispirata da Purusha inizia un processo di trasformazione che culmina con la manifestazione così come la si percepisce. La liberazione dal ciclo delle reincarnazioni e dunque dalla sofferenza che la vita comporta, è possibile soltanto raggiungendo quella conoscenza metafisica che permette di discriminare fra questi due principi ultimi e antitetici.
Il sistema dello Yoga è legato strettamente a quello del Sankya. I riferimenti allo yoga come strumento per disciplinare mente, corpo e spirito si hanno già nei Veda e nelle Upanishad. Ad ogni modo Patanjali codificò il primo definitivo ed integrale sistema di yoga, comunemente conosciuto come Yoga Sutras (“legame, catena”), mantenendo la natura dualista del sankya con il Purusha e la Prakriti, inserendo però un aspetto teistico, Ishvara, su cui poggiare la mente ed a cui offrire le proprie azioni. Il testo è composto da 194 aforismi sullo yoga ripartiti in quattro capitoli (pada):
-Samadhi Pada con 51 sutra viene illustrato lo yoga come mezzo per raggiungere il samadhi (beatitudine) che consente di sperimentare una differente consapevolezza delle cose;
-Sadhana Pada con 55 sutra con lo scopo di preparare fisicamente e mentalmente il sadahaka alla pratica dello Yoga superiore con le prime cinque tecniche .
-Vibhuti Pada con 56 sutra tratta le rimanenti tre tecniche finali (Dharana, Dhyana, Samadhi) e le siddhi cui queste portano naturalmente
-Kaivalya Pada con 34 sutra che espongono i problemi filosofici essenziali che lo studio e la pratica dello yoga comportano.
E’ considerato uno dei più importanti testi dell’India antica, scritto probabilmente tra il I e il II secolo a.C. Il testo descrive la pratica dello yoga e i mezzi per raggiungere l’”Unità”, ossia il superamento duale della realtà, che si verifica quando il soggetto, l’oggetto e la ricerca si fondono in una coscienza in cui l’ “io” e il “tu” non esistono più. Patanjali riteneva che la mente razionale non può giungere a questa coscienza del Tutto, che invece si può raggiungere attraverso lo yoga, che esso definisce come “citta vritti nirodha”, che in sanscrito significa cessazione delle onde pensiero. L’assenza di pensiero permette a “colui che vede, di accettare il suo stato naturale” (Yoga sutra 1.3). Per giungere a questo stato Patanjali indica un percorso in otto stadi che contemplano regole di condotta, l’esercizio fisico attraverso le asana, il controllo della respirazione, il riassorbimento dei sensi, la concentrazione, la meditazione, per giungere a questo stato di grazia di unione tra il soggetto e l’oggetto.
1. Yama: regole etiche
2. Niyama: osservanze, discipline corporale e psichiche
3. Asana: posture
4. Pranayama: Sviluppo del prana o energia vitale
5. Pratyahara: controllo dei sensi
6. Dharana: concentrazione
7. Dhyana: meditazione
8. Samadhi: realizzazione, beatitudine
Raggiunto lo stato di Samadhi si potrà riscoprire la separazione del purusha e della prakriti e risiedere in puro isolamento metafisico. Il risultato che viene acquisito dal praticante una volta portata a temine la meditazione con successo, si traduce in Siddhi, che significa “perfezione, realizzazione, abilità, potere”. Per acquisire tali poteri è necessario meditare sulla Vacuità e praticare il devayoga fino a quando il proprio corpo appaia divino, fino a scorgere la divin ità, ad ascoltare le sue parole e ricevendone benedizione. Le siddhi sono poteri occulti, miracolosi e magici, in grado di alterare la realtà ordinaria e che lo yogi adotta per il beneficio degli esseri senzienti e non per scopi egoistici. Le siddhi terrene o comuni attengono agli esseri umani e sono poteri quali volare, viaggiare in universi lontani in pochi secondi, leggere la mente altrui, predire il futuro, irradiare luce dal corpo, stare alla luce del sole senza produrre ombra, sciogliere la neve con il calore del corpo in condizioni di freddo rigido e altri simili miracoli. Praticando il sentiero spirituale tutti gli esseri umani possono sviluppare le siddhi. Vi sono anche siddhi ti tipo ultra terreno e supremo.
6. Bhagavad Gita e azione yukta
La Bhagavad Gita (Canto del beato) è un breve poema sanscrito di 700 versi chiamato il Vangelo dell’India, poiché è l’opera classica più famosa della letteratura religiosa indiana, è il testo sacro per gli Hare rishna. E’ considerata una delle maggiori Upanisad e costituisce l’essenza della conoscenza vedica. Il poema è inserito nel grande poema epico Mahabharata, un testo che contiene tutte le tradizioni normative, religiose, mistiche e metastoriche dell’India antica. Nel poema si racconta dell’incontro tra Arjuna, valoroso condottiero e simbolo dell’eroe con il Krishna, l’incarnazione del Divino in forma umana. Arjuna dovrebbe combattere la gente della sua stessa stirpe e si rifiuta di portare avanti una lotta fratricida. Entra così in un dilemma, un conflitto interiore caratterizzato da depressione, scoraggiamento e disperazione. In questo stato emotivo si appella a Krishna che prende spunto da questo evento per illustrare al suo interlocutore il significato della vita.
Il fine di questo poema è quello di aiutare gli uomini a liberarsi dall’ignoranza a cui l’esistenza materiale costringe, a cercare la verità assoluta, altrimenti ogni propria azione rimarrà imperfetta. Il poema aiuta dunque a comprendere perché siamo soggetti alla sofferenza e dove andremo dopo la morte e chi trova le risposte deve fare come Arjuna, ossia mostrare un rsipetto totale alla Persona Suprema. Il testo guida alla comprensione di 5 verità fondamentali: l’uomo è dominata da Isvara (il Dio); esiste una natura materiale (prakriti), un tempo (durata della manifestazione della natura materiale) e un Karma (azione); la manifestazione materiale è dominata dal tempo, gli esseri individuali agiscono all’interno di essa. Queste verità dimostrano come Dio, principio supremo, superi tutti gli altri esseri, sebbene tutti partecipino della sua natura. Krishna spiega infatti ad Arjuna che il vero successo sta nella rinuncia che si consegue solo liberandosi dal desiderio egoico “la rinuncai all’azione e l’azione devozionale conducono entrambe alla liberazione, ma tra le due l’azione devozionale è la migliore” (BG.V.2)
Nello stato Yukta, siamo in profonda unione, nel senso che abbiamo unito tutte le particelle dell’Ek che si erano disperse, in questo stato non si ha bisogno di nulla, ma ci muoviamo per un valore universale che è il prodotto di un’azione buona per tutti. Nello stato Yukta si è nel qui ed ora ed in quel momento si vede qual è l’azione giusta da fare che è una soltanto e deve coincidere con l’Atman e accade quando coincide con l’educazione. Yama e Nyama (regole etiche e le osservanze, discipline corporali e psichiche) aiutano ad auto educarsi.
7. Vipassana
La meditazione vipassana risale al VI sec A. C., nata dalla sperimentazione di Siddharta Gautama dopo aver completato il suo tirocinio Yoga. Si basa sulla consapevolezza e il controllo del respiro. Nella lingua dell'India ai tempi del Buddha, Vipassana significava vedere ad occhi aperti, Conoscenza. Lo scopo finale è infatti quello di giungere attraverso un’attenzione focalizzata su un oggetto materiale o immateriale e sui suoi movimenti, ad una chiara visione delle proprie sensazioni corporee e dei contenuti mentali osservandoli momento per momento. Come in una tecnica di auto-osservazione l’ esperienza diretta della realtà interiore che ne deriva, aiuta ad osservare le cose così come sono in realtà e non come sembrano essere. La respirazione rappresenta l’”oggetto primario”, mentre tutto il resto costituisce l’”oggetto secondario” o il “rumore di fondo” che può essere osservato per qualche secondo e definito come “nota mentale”. Rispetto ad altri tipi di meditazioni come la meditazione zen , la vipassana è meno formale, non richiede riti particolari ed è di particolare giovamento per alleviare pensieri negativi, dubbi e preoccupazioni.
Bibliografia
Mahatma Kaur 2000. “La via del maestro” Edizioni Mediterranee
Patanjali 1990. “I sutra di Patanjali” Edizioni I Dioscuri
B.K.S. Iyengar 1975. Teoria e pratica dello yoga” Edizioni Medierranee
G. Astolfi, Shakti Tara 1993. “Yoga la salute come immortalità” Edizioni Mediterranee
G. Astolfi, Shakti Tara 1981. “Yoga la danza della vita” Edizioni Mediterranee