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IL BULLISMO
Negli ultimi anni la psicologia dello sviluppo si è interessata allo studio di un fenomeno, di deviazione relazionale tra pari, che si sta allargando a macchia d’olio nella scuola e che prende il nome di “Bullismo” (Giovinazzo, S., 2004)
Il termine “bullismo” si riferisce ad una definizione elaborata da Olweus (1986; 1991): “Uno studente è oggetto di bullismo, ovvero è prevaricato o vittimizzato, quando viene esposto, ripetutamente nel corso del tempo, alle azioni offensive messe in atto da uno o più coetanei”.
Nella letteratura sulle difficoltà di relazione tra pari, il fenomeno del bullismo è considerato come un sintomo di disagio sia nei bulli sia nelle vittime (Corvaglia, L. Majorano, M. Corsano, P., 2008); esso si riferisce ad un’ampia problematica del disadattamento sociale e, come tipo particolare di comportamento a rischio, rientra all’interno della categoria dei comportamenti aggressivi.
Al contrario di quanto pensano molti, si tratta di un fenomeno sociale molto diffuso la cui gravità viene spesso sottovalutata.
Il problema infatti è di grande rilevanza, non solo per le persone direttamente coinvolte (il bullo, cioè il persecutore, e la vittima), ma anche per le rispettive famiglie e per le figure di contorno (insegnanti, coetanei, compagni di scuola).
Il bullismo dunque non è mai un fenomeno individuale o duale, ma può essere considerato un fenomeno di gruppo caratterizzato da una dinamica sociale particolare che per sua natura coinvolge più persone. La classe è determinante nel favorire la costruzione di un sistema di regole di gruppo, dove possono prendere spazio le dinamiche più negative e dove i rapporti interni tra i compagni possono trasformarsi in comportamenti di sopraffazione e di svalorizzazione dell’altro, di passività e di impotenza, oppure in atteggiamenti di indifferenza e di non intervento, pur di non essere coinvolti. Bulli e vittime, se non vengono supportati emotivamente e comportamentalmente a modificare le proprie modalità relazionali ed il proprio sistema di credenze, rischiano di restare spesso imprigionati nei loro ruoli, gli uni diventano adulti asociali, devianti in età adulta e gli altri destinatati all’abbandono scolastico, alla depressione, alla scarsa soddisfazione personale e professionale e ad un’eccessiva passività nelle relazioni sociali.
Oltre alle vittime, ai loro difensori ed a coloro che non vengono coinvolti, ci sono i sostenitori, gli aiutanti del bullo che incoraggiano le prevaricazioni e partecipano alla loro esecuzione.
Il bullo quindi non è mai solo quando agisce.
Il bullismo si manifesta in tre forme:
•l’aggressione fisica,
•l’accanimento verbale (minacce, insulti, intimidazioni, scherno, disprezzo per differenze razziali o sociali)
•e una serie di violenze indirette (diffusione di storie offensive o di pettegolezzi, esclusione dai gruppi di aggregazione).Esiste una probabilità di 3-4 volte superiore che i ragazzi/e che compiono prepotenze in età scolare possano poi incorrere in comportamenti devianti e anti-sociali in età adulta, con elevata stabilità del comportamento aggressivo nel tempo, a prescindere dalla differenza di genere.
In adolescenza si verifica la tendenza ad associare a comportamenti aggressivi, l’abuso di sostanze, di alcool e di droghe,
La Scuola è il primo nucleo comunitario organizzato (dopo quello altrettanto importante della famiglia) nel quale i ragazzi e le ragazze si inseriscono e del quale si trovano ad accettare le regole di convivenza e le modalità di aggregazione.
La sfida più importante che i minori affrontano entrando a scuola, non sono gli esami o le interrogazioni, ma il dilemma dell’accettazione e dell’inserimento nel gruppo-classe.
Il bisogno di sentirsi parte di una comunità si scontra spesso con le leggi e i prezzi da pagare per entrare nel gruppo degli eletti: chi non è disposto ad accettarne le richieste o non condivide i principi di prepotenza su cui si regge, diventa bersaglio di una persecuzione violenta e prolungata che è all’origine del bullismo.
Ecco che immediatamente si crea una gerarchia di ruoli tra chi è degno di essere accettato nel gruppo e chi invece non può essere incluso per via di una presunta inferiorità, che può assumere forme differenti: un handicap fisico, una differenza razziale, uno svantaggio familiare, un disagio economico, una difficoltà scolastica.Anche un ambiente scolastico molto competitivo può diventare terreno fertile per l’evoluzione del bullismo, che nella maggior parte dei casi nasce e si sviluppa indisturbato nei momenti e negli spazi non sottoposti al controllo degli adulti:
-durante l’intervallo,
-in mensa,
-negli spogliatoi della palestra,
-nel tragitto casa-scuola.
Nelle scuole italiane è ormai emergenza bullismo, il nostro Paese è al terzo posto in Europa per la diffusione scolastica del fenomeno.Le ricerche indicano una diffusione più generalizzata del problema nelle scuole elementari e nelle prime classi di quelle medie, mentre con il crescere dell’età si assiste a una diminuzione di casi ma al contempo ad una maggiore radicalizzazione del fenomeno.Nell’età adolescenziale infatti la strategia crudele di sottomissione del più debole si accentua perché accresce l’intenzionalità rispetto all’età infantile, nonché la voglia di sentirsi grandi, Anche a scapito degli altri.
Fino a qualche anno fa, nella scuola si era spesso portati a trascurare gli aspetti emotivi e relazionali del processo di sviluppo dell’allievo a tutto vantaggio di quelli puramente cognitivi, dimenticando che l’individuo è una totalità integrata ed organizzata e nella sua totalità va educato.
In tempi recenti la comprensione della vita emotiva del bambino/ragazzo si è notevolmente ampliata in seguito al diffondersi di nuove conoscenze sul funzionamento della mente e sui meccanismi sottostanti le diverse emozioni.
È stato dimostrato che il bambino ha un ruolo attivo nella costruzione della propria realtà ed elabora una visione personale degli eventi, attraverso un dialogo interiore.
Da tali pensieri emergono reazioni emotive e sentimenti specifici.
Ed è proprio su questo che è importante lavorare, attraverso strumenti, come l’educazione socio-affettiva, volti allo sviluppo dell’autostima nei ragazzi, all’aumento di competenze relazionali, comunicative, sociali; all’incremento della creatività nella risoluzione di problemi, nella presa di decisioni, alla “soluzione cooperativa dei conflitti”, alla “pensabilità positiva”; alla consapevolezza che il gruppo può essere il luogo dove sperimentare quei valori di solidarietà, libertà, giustizia, rispetto per l’altro, che dovrebbero essere vissuti da giovani nella famiglia, nella scuola, nel tempo libero e, da adulti, in ogni contesto di vita personale e professionale (Francescato, D. Putton, A. Cudini, S., 2004).
È utile parallelamente proporre un percorso di educazione razionale emotiva (derivato dalla terapia razionale emotiva di A. Ellis), al fine di educare la mente del bambino/ragazzo al potenziamento di quell’aspetto dell’intelligenza che è in grado di favorire reazioni emotive equilibrate e funzionali .
L’intervento di prevenzione del bullismo a scuola dovrebbe quindi porsi l’obiettivo di contrastare la nascita di angoscia e la produzione di odio attraverso l’esplicitazione e l’emersione dei bisogni affettivi che ogni singolo studente ha: essere accettato, compreso e rispettato.
Ogni membro del gruppo-classe potrà così contribuire da protagonista a migliorare il presente in cui vive, attraverso la costruzione di relazioni positive, basate impedendo così la cristallizzazione di comportamenti estremi come quelli del bullismo.
Attraverso il mio lavoro pluridecennale svolto con le classi, i docenti, i genitori e con le Istituzioni Locali ho potuto comprendere in modo sempre più chiaro quanto una cultura di prevenzione della violenza debba facilitare i processi di crescita individuali degli adolescenti in stretta interconnessione con la famiglia ed il sistema scolastico.
E’ dunque necessario che la scuola, in quanto agenzia educativa, possa rendersi promotrice di interventi repentini ed efficaci, finché sussistono le condizioni per modificare gli atteggiamenti inadeguati.
Lo scopo di un intervento di prevenzione del bullismo a scuola, è quello di ridurre e prevenire eventuali situazioni di squilibrio e di disagio, che se non vengono colte in tempo, potrebbero poi sfociare in veri e propri comportamenti dannosi per sé e per gli altri. Intervenire in maniera sistematica e funzionale a scuola, significa infatti non attendere le situazioni di emergenza, ma lavorare con gli studenti per potenziare le loro risorse, attraverso un processo di progressivo riconoscimento dei vissuti emotivi, responsabilizzazione nei ruoli di aiuto, di supporto e di cooperazione tra pari, convivenza e rispetto reciproco.